Cassazione civile n. 6483/2008

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Sentenza Cassazione civile n. 6483/2008

Cassazione civile n. 6483/2008
Giurisdizione Cassazione civile
Numero 6483
Data 11/03/2008
Massima .
Corte di Cassazione

ha emesso la seguente

SENTENZA

Svolgimento del processo

[omissis], premesso di avere stipulato con [omissis], [omissis] e [omissis] un contratto preliminare di compravendita per l'acquisto di una villetta sita in Almese a Montecapretto per esigenze abitative sue e della sua famiglia, versando, all'atto della sottoscrizione, la somma di L. 100.000.000 a titolo di caparra confirmatoria, e di avere successivamente scoperto l'alterazione artificiosa delle planimetrie originali dell'immobile, che indicavano come "sottotetto non abitabile" il locale del primo piano presentato come studio, convenne dinanzi al tribunale di Torino i promettenti venditori nonché [omissis], mediatrice dell'affare, e [omissis], che aveva condotto le trattative per conto dei promettenti venditori, chiedendo l'annullamento del contratto per vizio del consenso perché determinato da dolo delle controparti o, in subordine, la sua risoluzione per grave inadempimento, con condanna alla restituzione del doppio della caparra versata, nonché la condanna della [omissis] al risarcimento dei danni e, infine, l'accertamento nei confronti sia della [omissis] che del [omissis] di nulla dovere agli stessi a titolo di provvigione.

Costituitisi in giudizio tutti i convenuti, [omissis], [omissis] e [omissis] rappresentarono che l'attore aveva avuto piena conoscenza delle condizioni di abitabilità dell'immobile e che comunque la non abitabilità del locale studio, che aveva una superficie di 33 mq. su un complessiva estensione di 550 mq. dell'immobile, costituiva una inesattezza del tutto marginale nell'operazione contrattuale voluta dalle parti; affermando, inoltre, che il [omissis] non aveva provveduto al pagamento della seconda rata del prezzo di L. 200.000.000, chiesero in via riconvenzionale che fosse accertata la legittimità del loro recesso dal contratto e fosse loro riconosciuto il diritto a trattenere la caparra versata, ovvero, in subordine, che il contratto fosse dichiarato risolto per inadempimento del promissario acquirente, con sua condanna al risarcimento del danno.

[omissis] e [omissis] chiesero il rigetto delle domande contro di loro proposte e la condanna dell'attore al pagamento della provvigione.

Il Tribunale adito, ritenuto l'inadempimento dei convenuti, pronunciò la risoluzione del contratto e condannò i promettenti venditori al pagamento del doppio della caparra ricevuta, respingendo le altre domande dell'attore.

La sentenza fu impugnata in via principale da [omissis], [omissis] e [omissis] e, in via incidentale, da [omissis]. Dopo avere disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di [omissis] e [omissis], con sentenza dell'08/11/2004 la Corte di appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, dichiarò il contratto risolto per inadempimento del [omissis], rigettò sia la domanda degli appellanti diretta all'incameramento della caparra ricevuta che le opposte richieste della controparte, dichiarando altresì inammissibile l'appello incidentale.

A fondamento di tale decisione, la Corte osservò che la non abitabilità del locale studio doveva considerarsi un inadempimento di scarsa importanza, inidoneo come tale a giustificare sia il rifiuto del promissorio acquirente di eseguire il contratto, che la sua domanda di risoluzione dello stesso, atteso che, essendo la superficie di detto locale minima rispetto alla superficie dell'immobile, di cui l'intero piano mansardato era indicato in contratto come non abitabile, il suddetto locale, sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo, aveva avuto un peso marginale nell'economia dell'affare, considerato altresì, da un lato, la disponibilità dei promettenti venditori di attivarsi per la pratica del suo condono e, dall'altro, l'interesse del promissorio acquirente, che aveva dimostrato, manifestando la propria volontà di acquistare un immobile con l'intero piano mansardato non munito di abitabilità, a rinunziare a detto requisito.

La Corte respinse invece la domanda di accertamento dell'avvenuto recesso dal contratto e di trattenimento della caparra ricevuta, nonché quella in via subordinata, di risarcimento del danno, rilevando che le parti non avevano convenuto la facoltà di recesso e che del danno non era stata fornita alcuna prova.

Con riguardo all'appello incidentale proposto dall'attore, il giudizio di inammissibilità fu infine motivato rilevando che con esso la parte non aveva confutato le argomentazioni del giudice di primo grado; che aveva disatteso la domanda di annullamento del contratto per dolo, ma si era limitato ad un mero richiamo alle difese svolte nel giudizio di primo grado.

Contro questa decisione, con atto notificato il 23/09/2005, propone ricorso per cassazione [omissis], deducendo due motivi.

[omissis], [omissis] e [omissis] si sono costituiti con controricorso ed hanno proposto, a loro volta, ricorso incidentale.

Con ordinanza del 27/03/2007, questa Corte ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di [omissis] e [omissis], adempimento che il ricorrente ha eseguito con atto notificato il 18/06/2007.

[omissis] e [omissis] non si sono costituti.

Le parti costituite hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso deduce "Violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione all'omessa e/o insufficiente ed erronea motivazione, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. sul punto decisivo della controversia per avere omesso l'esame del profilo soggettivo dell'inadempimento dei promettenti venditori circa le condizioni dell'abitabilità dell'immobile; violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione alla mancata consegna del permesso di abitabilità in sede di preliminare".

Sostiene il ricorrente che la Corte di appello è incorsa in errore allorché ha ritenuto la non rilevanza del difetto di abitabilità del locale studio nella complessiva economia del rapporto negoziale, in quanto non ha rilevato l'aspetto soggettivo dell'inadempimento rappresentato dalla alterazione delle planimetrie dell'immobile ad opera delle controparti, disattendendo l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la valutazione dell'inadempimento va condotta sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, consistente nella condotta delle parti.

Che poi il comportamento della controparte fosse stato nella specie rilevante, deriva dalla circostanza che la falsa rappresentazione della planimetria dell'immobile ha determinato il [omissis] a stipulare il preliminare.

Il giudice di appello ha poi errato nel ritenere che la proposta dei promettenti venditori di attivarsi per la pratica di condono del locale equivalesse alla accertata condonabilità dello stesso.

Il ricorrente critica infine, perché incongruente, l'accertamento della sentenza circa la ritenuta marginalità della destinazione del locale in contestazione sull'economia dell'affare, rilevando che tale giudizio è tratto prendendo in considerazione l'intera superficie dell'immobile, laddove avrebbe dovuto più correttamente riferirsi soltanto alla superficie abitabile, senza considerare il piano mansardato, nonché il rilievo che la disponibilità del [omissis] ad acquistare un immobile per una parte non munito di licenza di abitabilità potesse significare rinunzia a detto requisito anche con riferimento al locale suddetto.

Il motivo è infondato.

In ordine alla doglianza secondo cui la Corte di merito non avrebbe sufficientemente valutato il profilo soggettivo del dedotto inadempimento, va osservato che il richiamo fatto dal ricorrente alla giurisprudenza di questa Corte in tema di criteri di accertamento dell'inadempimento contrattuale ai fini della risoluzione del contratto non appare riprodotto in modo appropriato.

L'affermazione secondo cui la pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento richiede un accertamento non limitato al solo parametro oggettivo, volto a verificare che l'inadempimento, tenuto conto dell'interesse delle parti, abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto negoziale, dando luogo ad uno squilibro sensibile del sinallagma del contratto, ma debba, o meglio, possa estendersi anche al profilo soggettivo della colpa, al fine di valutare, anche sotto tale aspetto, il comportamento delle parti, non si limita infatti, come adombrato dal ricorrente, a sottolineare l'esigenza di una duplice valutazione dell'inadempimento, ma, ad una lettura più attenta, declina un criterio di valutazione che deve seguire un ordine di priorità logica e giuridica, nel senso che l’accertamento del profilo oggettivo va completato con quello soggettivo, dal momento che da esso può emergere una situazione tale o da escludere un inadempimento colpevole ovvero da attenuare il giudizio di gravità dell'inadempimento (così, esattamente: Cassazione civile n. 7083/2006; nello stesso senso: Cassazione civile n. 1773/2001).

Ne deriva che l'indagine circa il profilo soggettivo della colpa segue ma non può mai sostituire o sovrapporsi all’accertamento del profilo oggettivo e che, una volta esclusa sulla base del criterio oggettivo la gravità dell'inadempimento nel caso concreto, la risoluzione non può essere pronunciata per il solo fatto che l'inesattezza della prestazione, giudicata non grave, sia riferibile, quand'anche se ne sia fornita la prova, ad un disegno intenzionale dell'obbligato.

Il profilo soggettivo della colpa, infatti, può rilevare al solo fine di attenuare il giudizio di gravità dell'inadempimento (laddove ricorra una tolleranza del creditore ovvero una riparazione del debitore) ovvero di escludere lo stesso inadempimento (laddove il debito provi di non essere in colpa e che la mancata esecuzione della prestazione dipende da causa a lui non imputabile), ma non già a far ritenere grave un inadempimento che, sotto il profilo oggettivo, si è accertato come scarsamente rilevante.

Per tale ragione, il fatto che la Corte di appello abbia omesso di esaminare il profilo soggettivo non integra alcuna lacuna o errore, ma costituisce la conseguenza diretta dell'accertamento da essa compiuto in ordine alla scarsa importanza dell'inadempimento denunziato.

Le altre censure sollevate nel motivo sono parimenti infondate.

Premesso che la valutazione in ordine alla gravità dell'inadempimento integra un accertamento di fatto demandato dalla legge al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della motivazione, si rileva che il giudice di secondo grado ha dato conto in modo congruo ed esauriente delle ragioni per le quali ha ritenuto nella specie l'inadempimento dei promettenti venditori di scarsa importanza, fondando tale giudizio sul raffronto tra la superficie del locale privo di abitabilità rispetto alla superficie dell'intero immobile, sulla circostanza, non contestata, della sua condonabilità, nonché sul rilievo che l'inesattezza riscontrata aveva scarso interesse per il promissorio acquirente, dal momento che egli si era già determinato ad acquisire un immobile il cui intero piano mansardato era privo del suddetto requisito.

In tale contesto, l'avere il giudice di appello fatto riferimento, in questa valutazione, all'intera superficie dell'immobile e non già alla sola parte abitabile, non integra un elemento di incongruità della motivazione, ma un dato coerente con i criteri di giudizio utilizzati.

Inammissibile perché nuova, non risultando proposta nei precedenti gradi di giudizio, è infine la doglianza che sembra lamentare la mancata considerazione da parte del giudice di merito della irregolarità urbanistica dell'immobile, quale causa ostativa al suo trasferimento per atto inter vivos.

Il secondo motivo di ricorso denunzia "Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) in riferimento all'art. 342 e conseguente omessa motivazione, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. su un punto decisivo della controversia", censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile il proprio appello incidentale sulla base del rilievo che esso non contenesse una specifica confutazione delle ragioni esposte nella sentenza di primo grado a sostegno del rigetto della sua domanda di annullamento del contratto per dolo dei promettenti venditori.

Il motivo è infondato.

Sul punto deve ribadirsi il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, a mente dell'art. 342, comma 1, cod. proc. civ., l'onere della specificazione dei motivi d'appello può considerarsi assolto solo laddove l'atto introduttivo del gravame contenga argomentate ragioni di doglianza su ciascuno dei capi della sentenza oggetto di censura, avendo il giudizio d'appello natura di revisio prioris instantiae solo alla stregua dei motivi di gravame; pertanto, non è sufficiente che la sentenza di primo grado venga impugnata nella sua interezza, essendo, per contro, necessario che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte, per ciascuno dei capi censurati, con sufficiente grado di specificità in relazione e contrapposizione con le ragioni addotte, nella sentenza impugnata, a giustificazione delle singole adottate decisioni (Cassazione civile n. 20261/2006; Cassazione civile n. 11372/2006; Cassazione civile n. 11935/2002).

Nel caso di specie, il giudice di appello si è conformato a tale principio, osservando che l'appellante, nell'impugnare la statuizione del giudice di primo grado, si era limitato al mero richiamo alle difese svolte in primo grado, circostanza che invero non risulta nemmeno posta in discussione nel presente motivo.

In conclusione il ricorso principale è respinto.

2. Con un unico motivo, il ricorso incidentale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1385 cod. civ. in relazione al precedente art. 1373, lamentando che il giudice di appello abbia respinto la domanda riconvenzionale dei convenuti di accertamento della legittimità del loro recesso dal contratto per inadempimento del promissario acquirente al pagamento delle rate del prezzo e la loro successiva richiesta di trattenere la caparra versata sulla base del presupposto che le parti non avessero convenuto la facoltà di recesso prevista dall'art. 1373 cod. civ..

Il motivo è fondato.

Non è in alcun modo in contestazione che al momento della sottoscrizione del preliminare il promissorio acquirente versò alla controparte la somma di L. 100.000.000 a titolo di caparra confirmatoria, essendo stata la relativa circostanza riferita da entrambi i contraenti.

Tanto precisato, la Corte di appello, nel respingere le relative richieste dei convenuti, pur nella premessa dell'inadempimento del promissario acquirente al pagamento della seconda rata del prezzo di L. 200.000.000, ha completamente ignorato il meccanismo operativo e funzionale dell'istituto della caparra confirmatoria, come delineato dall'art. 1385 cod. civ., secondo cui nei casi di consegna, al momento della conclusione del contratto, di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, "Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, trattenendo la caparra".

Il diritto di recedere dal contratto e di trattenere la caparra ricevuta (ovvero di pretendere il doppio della caparra versata) in caso di inadempimento della controparte costituisce pertanto l'effetto proprio della clausola con cui le parti hanno convenuto, nel concludere il contratto, la dazione di una somma di denaro quale caparra confirmatoria, esprimendo per tale via la volontà di applicare al negozio la disciplina propria di tale istituto, cui va riconosciuta la funzione di una preventiva e convenzionale liquidazione del danno per inadempimento, e di derogare, nel contempo, sia pure in forma non definitiva, essendo sempre salva la facoltà per la parte non inadempiente di avvalersi del diverso rimedio della risoluzione, la disciplina generale in materia di inadempimento contrattuale.

La Corte di appello ha pertanto errato nel ritenere l'infondatezza delle domande in questione, pur in presenza della dazione di una somma a titolo di caparra confirmatoria e dell'inadempimento del promissario acquirente, per non avere le parti contraenti espressamente stipulato una facoltà di recesso dal contratto.

Il ricorso incidentale va pertanto accolto, la sentenza cassata e, sussistendone le condizioni - risultando pacifica la consegna, al momento della conclusione del contratto, della somma di L. 100.000.000 a titolo di caparra confirmatoria ed accertato l'inadempimento del promissario acquirente dell'obbligazione di versare la seconda rata del prezzo - la causa va decisa nel merito, dichiarando legittimo il recesso dal contratto esercitato dai promettenti venditori ed il loro diritto a trattenere la somma di L. 100.000.000 ricevuta a titolo di caparra.

3. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale ed accoglie quello incidentale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara legittimo il recesso dal contratto preliminare di compravendita esercitato da [omissis], [omissis] e [omissis] ed il loro diritto a trattenere la somma di L. 100.000.000 ricevuta a titolo di caparra;

condanna [omissis] al pagamento in favore delle controparti delle spese di giudizio, che liquida in Euro 8.100,00, di cui Euro 8.000 per onorari, oltre accessori.

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